Preridotto: la carica metallica su cui scommette la siderurgia del futuro

Il termine “preridotto” ha assunto grande popolarità, non solo in ambito siderurgico ma anche nel linguaggio di chi è chiamato a sviluppare i piani di decarbonizzazione di intere nazioni.

Con tale parola si indica del materiale metallico prodotto dal minerale ferroso usando esclusivamente dei gas riducenti e senza portarlo a fusione.

L’odierno interesse per questo materiale nasce da esigenze ambientali, avendo la sua produzione degli impatti positivi sia a livello locale che globale. Rispetto alla produzione di acciaio da altoforno, sfruttando il preridotto si ha da un lato l’eliminazione delle cokerie, con i conseguenti benefici sull’inquinamento a livello locale, e dall’altro la possibilità di traguardare una drastica riduzione delle emissioni climalteranti.

Come si ottiene il preridotto

La configurazione più comune per la produzione del preridotto prevede il caricamento di “pellette” di minerale ferroso all’interno di un reattore verticale. Qui le pellette sono messe in contatto con dei gas riducenti ad alta temperatura capaci di portare alla formazione di ferro metallico senza mai arrivare a fondere la massa solida. Il materiale risultante è appunto il preridotto che così ottenuto può essere alimentato all’interno di un forno ad arco elettrico per la produzione di acciaio.

L’atmosfera riducente è tipicamente realizzata ricorrendo all’uso di gas naturale. Ne consegue che la preriduzione sia una pratica particolarmente vantaggiosa per i paesi che dispongono di tale risorsa a basso costo. Contestualmente alla disponibilità di gas naturale, uno dei requisiti per la produzione del preridotto è l’approvvigionamento di minerale ferroso di qualità idonea. Infatti, non giungendo il materiale ad una sua fusione, non è possibile separare dalle pellette il contenuto in specie indesiderate non ferrose, noto come ganga. Si deve quindi ricorrere a un minerale di partenza di qualità superiore a quello comunemente adottato negli altiforni, che sia ricco in ferro e povero, appunto, in ganga.

Vantaggi del preridotto

Confrontando tra loro il tipico ciclo dell’acciaio basato sull’uso del carbone per alimentare gli altiforni e un processo che sfrutta invece il gas naturale per la preriduzione, si hanno emissioni dirette di CO2 più che dimezzate. Guardando poi al futuro, il processo produttivo del preridotto può essere ulteriormente decarbonizzato in modo profondo mediante la cattura e lo stoccaggio della CO2 oppure sostituendo il gas naturale con riducenti alternativi quali biometano o idrogeno. È in particolare sull’idrogeno prodotto da fonti a basse emissioni, come l’idroelettrico, l’eolico, il solare o il nucleare, su cui molti produttori di acciaio stanno scommettendo. Se si riuscisse a disporre di un alimentazione di elettricità e idrogeno decarbonizzata sarebbe infatti possibile azzerare le emissioni della preriduzione. Il residuale impatto climatico deriverebbe solo dall’utilizzo di materie prime carboniose all’interno del forno ad arco elettrico.

Impatto sui forni ad arco elettrico

Il preridotto può essere usato direttamente dove è prodotto, alimentandolo ancora caldo in un forno ad arco elettrico. Alternativamente, il preridotto può essere esportato per un suo utilizzo nei forni elettrici che riciclano il rottame ferroso. Questi hanno infatti l’esigenza di introdurre cariche metalliche vergini per gestire la presenza di contaminanti nel rottame o per sopperire, in futuro, ad una carenza di quest’ultimo.

L’introduzione del preridotto nei forni elettrici può gravare sui costi del processo. Ciò è funzione non solo del prezzo delle materie prime ma anche dell’effettivo contenuto in carbonio, impurità e ferro metallico nel preridotto nonché della capacità che hanno le acciaierie di ottimizzare i propri processi per accogliere tale carica. In linea di principio, con l’introduzione del preridotto aumenteranno i consumi elettrici e la quantità di scoria da gestire. Ciò comporta l’usura dei refrattari, un aumento dei tempi di processo e una diminuzione della resa metallica e quindi, complessivamente, una riduzione della produttività. Un significativo vantaggio è dato invece dall’uso del preridotto nel sito stesso in cui è prodotto.  Caricandolo ancora caldo all’interno del forno elettrico è infatti possibile impattare positivamente sia sui consumi energetici che sulla produttività.

Problematiche e nuovi sviluppi

Al di là dei significativi investimenti richiesti per la realizzazione di nuovi poli siderurgici, la principale problematica del preridotto è data dalla limitata disponibilità di coltivazioni minerarie in grado di fornire minerale di qualità idonea. Per ovviare a tale problema la soluzione che viene teoricamente proposta è quella di ricorrere nella preriduzione a minerale di qualità comune e sostituire il forno ad arco elettrico con un differente processo. Questo prevederebbe una prima stazione preposta esclusivamente alla fusione e arricchimento in carbonio del preridotto e, successivamente, all’uso dei tradizionali convertitori ad ossigeno oggi collocati a valle degli altiforni. Così facendo si potrebbe ricorrere a particolari forni elettrici per fondere il preridotto, separare le impurità generando una scoria con la medesima destinazione d’uso di quella degli altiforni e ottenere della ghisa liquida idonea per essere trasformata in acciaio nei convertitori. Quest’ultimi dispositivi potrebbero essere recuperati dagli impianti esistenti, limitando così parzialmente i costi della riconversione dei siti siderurgici. Così facendo si realizzerebbe anche una via per produrre una ghisa a minor impatto ambientale rispetto a quella oggi in commercio.

Stante il significativo vantaggio ecologico ottenuto già col passare dagli altiforni alla preriduzione con gas naturale, nel contesto della decarbonizzazione vi sono diverse tematiche da affrontare. L’uso del gas naturale è visto in prospettiva come accoppiato a sistemi di cattura della CO2. Tale approccio è chiaramente soggetto alla disponibilità di siti dove stoccare geologicamente la CO2 catturata e, affinché il processo non sia penalizzato nel suo complesso, deve essere accompagnato da un’attenta valutazione delle emissioni upstream del gas naturale. Ad agevolare questa soluzione potrebbe contribuire la graduale introduzione nel processo di idrogeno a basse emissioni o gas riducenti d’origine biogenica.

La via basata invece sull’utilizzo dell’idrogeno da elettrolisi dell’acqua vede il suo principale problema nella rilevante domanda di elettricità. Ciò favorirà l’adozione di questa soluzione in quei contesti in cui è disponibile energia decarbonizzata a basso costo nonché in grado di far operare gli elettrolizzatori che produrranno l’idrogeno in modo continuativo.

Se oggi gli altiforni sono concepiti per essere degli esportatori netti di elettricità, le acciaierie del futuro, siano esse basate sulla cattura della CO2 o sull’elettrolisi dell’acqua, rappresenteranno dei carichi rilevanti per il sistema elettrico. Se a ciò si aggiunge un crescente consumo di energia da parte dei forni ad arco elettrico e che tutte le lavorazioni e trattamenti dell’acciaio evolveranno quanto più possibile verso l’elettrificazione, è chiaro come la transizione dell’industria siderurgica passi per un massiccio e tempestivo dispiegamento di produzione di potenza decarbonizzata.

Articolo scritto da:

 Luca Orefici

Luca Orefici

Green Manager

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